La Moka Lab è la valvola di sfogo dell'agenzia La Moka, uno spazio aperto
verso cui far convergere qualsiasi argomento riguardante il sociale,
la pubblicità progresso, sostenibilità e tutela ambientale, sensibilizzazione civica,
idee e news sul mondo del marketing, della pubblicità e del design.


La Moka Lab is La Moka Agency's outlet, an open space
an open space in which letting converge any argument such as the social,
the advertising progress, the environmental sustainability and defense, the civic sensitiveness,
the design, ideas and news on the world of the marketing.



28 febbraio 2011

Biglietto da visita



La vetrina? Qualcuno la definisce “il biglietto da visita” del negozio.
Il sito web? “Il biglietto da visita” per chi fa e- commerce.
La copertina? Perché no? “Il biglietto da visita” per una rivista.

Si potrebbe andare avanti a lungo, ma resterebbe sempre una la domanda centrale: che cos’è il biglietto da visita? E’ uno dei più antichi, semplici e diretti mezzi di comunicazione.
Oggi diciamo che è uno dei tanti supporti cartacei basati su stampa (come la brochure aziendale o la locandina di un evento) con cui si presenta una persona privata o una sua attività, ma in verità ha vita lunga. Nato nella Francia del 1700 come semplice cartoncino su cui segnare le generalità e/o i recapiti del soggetto titolare, era prima sottoposto a un rigoroso galateo che ne dettava le regole per definirne l’aspetto (colore rigorosamente bianco, dimensioni piccole, carattere corsivo…).

Naturalmente, per quanto la sua funzione resti invariata, oggi il biglietto da visita è oggetto di una grande libertà di espressione, ben lontana da quel vincolante galateo. Anzi, in alcuni casi si può parlare di una vera e propria mania che ha coinvolto soprattutto i più giovani: per sete di visibilità creano da autodidatti dei biglietti personalizzati con i quali pubblicizzare semplicemente se stessi, un po’ per gioco. Sono decine i software in circolo grazie ai quali progettare e stampare questa categoria di prodotti in pochi click. Il risultato sono cartoncini coloratissimi dalle mille forme e dimensioni, con immagini fantasiose o fotografie di famiglia che hanno ragion d’essere solo nel personale gusto di chi li crea.


Ma chi lavora nel campo da decenni, da molto prima di tale boom, sa bene che ciò poco ha a che fare con la comunicazione d’impresa; sa bene che anche quel piccolo quadratino di cartone deve essere un tassello dell’immagine coordinata aziendale, progettato in base a coerenza e previsione di efficacia. Ed ecco che dal biglietto da visita si passa alla business card (che di diverso ha solo il sound più professionale).

Quanti bigliettini da visita ricevete in un anno? Chi di voi non ha almeno una decina di business card nella propria borsa? E, ancora, quante ne avete gettate credendo che occupassero inutilmente spazio?
Assimilare una business card a un semplice “pezzo di carta” su cui è appuntato un numero di telefono significa identificarla con uno strumento inutile dal punto di vista funzionale e un’insensata spesa tipografica (che potrebbe esser senza problemi risparmiata utilizzando carta e penna, appunto): al contrario, molte cose si possono dire con 85x55 mm di cartoncino! L’obiettivo per cui viene realizzata è chiaro: creare contatti. E in un mondo in cui si è bombardati da migliaia di informazioni al giorno è difficile che il ricordo della persona che l’ha ceduta resti. Non a caso i biglietti da visita, dopo un indecifrato periodo di permanenza nel portafoglio, vengono cestinati. E questo non perché necessariamente non facessero riferimento a un contatto utile, piuttosto perché nel momento in cui quel contatto poteva essere utilizzato non ci si è ricordati di averlo. Dunque nella maggior parte dei casi tali biglietti non assolvono alla loro funzione principale.


E’ proprio alla luce di tutto ciò che si comprende perché anche in merito a un semplice veicolo come questo le decisioni da prendere sono variegate:
- che tipologia di informazioni inserire. Gli esperti di marketing, ad esempio, consigliano di ricorrere, tra le varie, anche a un head line, una frase sintetica che sia un po’ lo slogan identificativo della attività;
- che font utilizzare per il testo;
- a quali colori ricorrere;
- che formato attribuire;
- su che tipo di carta stampare.

10 febbraio 2011

La creatività a portata di mano

Come spesso capita nella non conventional advertising, ciò che nasce con uno scopo meramente funzionale può essere sfruttato per fini comunicativi. Esattamente questa è la sorte toccata alla shopper, meglio conosciuta dalle nostre parti come “busta per la spesa”. Nata come strumento per agevolare il trasporto di merci dal negozio alla propria abitazione, è divenuta da qualche anno a questa parte un ottimo strumento pubblicitario. Tra le varie, infatti, ha tre caratteristiche fondamentali per il mondo della comunicazione:
1. visibile a un vasto pubblico (numerosi contatti)
2. riutilizzabile (ripetizioni di contatto)
3. economica.

Ecco dunque che in molte capitali d’Europa (sulla scia americana, naturalmente) si vedono circolare per le strade borse e sacchetti dalle forme più strane, con le stampe più originali al fine di rendere l’effetto finale fortemente attrattivo: checché sene dica è infatti fuori dubbio che queste shopper “di seconda generazione” (volendo ironizzare) attirino fortemente l’attenzione dei passanti… Naturalmente il materiale che più si presta a tali trasformazioni è la carta con i suoi derivati (carta plastificata, cartone…).
Considerando il divieto imposto dai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico di commercializzare sacchi da asporto non conformi agli standard europei, dallo scorso 1° gennaio non è più possibile utilizzare shopper in plastica bensì esclusivamente quelle ecologiche (biodegradabili, in stoffa o in carta, appunto).
La tematica in oggetto, dunque, diventa quanto mai attuale anche in Italia, in cui il “non convenzionale” arriva generalmente con ritardo. Ci si aspetta nel breve periodo, perciò, che anche nel nostro Paese inizino a circolare buste dai manici di capelli, o nella cui impugnatura via siano stampati pesi da palestra.



Le campagne di maggior impatto che all’estero hanno visto il ricorso a questa bag advertisement (così è stata battezzata), sono quelle a carattere sociale: doppi sensi che sensibilizzino il target di passanti su tematiche delicate come la tutela degli animali o la lotta alla pena di morte.


Ma le potenzialità di questo canale sono notevoli, dunque i campi di utilizzo paradossalmente infiniti… stavolta si può letteralmente affermare che l’ingegno è a portata di mano!