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31 dicembre 2009

In che Paese viviamo

In risposta alla lettera di Pier Luigi Celli (direttore generale della Libera Università Internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli) pubblicata sul sito Repubblica, riportiamo la risposta degli studenti a Mattia Celli.

"Ci siamo incontrati, nel cortile della Luiss, una mattina di gennaio: nutrito gruppo di sognatori e non, iscritti al primo corso di alta formazione per aspiranti copy editor, photo editor e traduttori. Abbiamo pagato migliaia di euro ognuno e ci siamo formati insieme per sei mesi. Sognando anche, magari, uno stipendio. Perché i precari si nutrono di cibo e non solo di aspirazioni.

Il master è finito.

Ora ci muoviamo tra strade telematiche e reali alla ricerca di qualcuno che voglia impiegare le nostre (tante) competenze fuori dalla mostruosità degli stage. Ma siamo sempre: troppo o troppo poco esperti, eccessivamente o non abbastanza giovani, arrivati tardi o presto, schiacciati da meccanismi marci che sostengono la logica dello sfruttamento. Perché è di sfruttamento che si parla quando si pretende che qualcuno lavori gratis per mesi senza nessuna prospettiva. Una gavetta perenne che non fa crescere la persona o la professionalità, ma ti trasforma nell’ingranaggio di un sistema a circuito chiuso.

Il dolore di Celli padre non ci addolora, se utilizzato in pubblico per promuovere una tesi sbagliata. E’ invece la triste ammissione di una lite politica vigliacca, che non ha saputo svolgere il suo lavoro e chiede ai suoi figli di scappare da un paese che non ha saputo governare. E’ il messaggio ipocrita di una classe dirigente che piange lacrime di coccodrillo, ma non si dimette: continua invece a ingrassarsi il portafoglio lucrando sulla disperazione di chi non può partire o sui desideri di chi non vuole andare a far fortuna all’estero. Questo, spesso, sono i prestigiosi “master”, i nuovi costosi lasciapassare per il futuro che poi tanto in là non ti fanno andare.

Non vogliamo entrare in una logica inutile di accuse e colpe. Scuse non le pretendiamo, ci è stato insegnato a non aspettarcele. Noi, però, non vogliamo andare via. Vogliamo scrivere nella nostra lingua, bellissima, preziosa. Vogliamo fotografare questo paese e traghettare la nostra cultura altrove.

L’alternativa alla fuga di cervelli, come ha dimostrato la storia, non è più la resistenza, ma buttare dalla nave chi continua ad aprire delle falle per farla affondare. La verità è che noi non abbiamo né e posti in prima fila né cognomi importanti: siamo quelli bravi che, però, devono rimanere a bordo anche se la nave affonda. Per quanto il nostro paese possa esser senza speranza, noi restiamo qui, senza i soldi per comprarci una casa dove vivere e senza quelli per averli noi, i figli, ed educarli a cambiare questo sistema anziché invitarli a scappare. Mattia, non andare via, è troppo facile: vincerebbero loro e sarebbe colpa nostra."

Rappresentanza del corso

Nuovi giornalismi della Luiss Business School

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